Robot. Quanti di voi sanno l'origine di questa parola? Per esempio, io pensavo che fosse inglese. E invece! Ma inizio a raccontare questa storia dall'inizio :-) Avevo voglia di leggere un libro illuminato. Non tanto per studiare qualcosa ma, piuttosto, per tenere la mia gioia di leggere sintonizzata su qualcosa che, appunto, mi desse gioia. Tra le mani mi è arrivato un libro: Ritrovare la luce di Neale Donald Walsh. |
Anche se qualcosa non quadrava. La sua energia era buia per me. Ma la mia mente ormai era determinata a leggerlo. Così vado in biblioteca per ritirarlo e.... i bibliotecari non lo trovano! Mi dicono che prenoteranno una copia e che dovrò aspettare....
Intanto mi metto a sfogliare i titoli dei libri scritti da Isaac Asimov. Avrò letto tutto ciò che ha scritto? E luminosi mi appaiono i titoli che comprendono il nome di questo robot: Norby.
Decido di prendere questi. Scopro che sono considerati narrativa per i ragazzi e che non sono sugli scaffali. Devo chiedere alla bibliotecaria di andarli a cercare. Li trova nel magazzino.
E io scopro che, Norby il robot stravagante, è il mio libro illuminato :-)
Mi porta gioia, semplicità e qualche nota interessante. Inoltre Norby si ritroverà ad avere nuovi amici: delle draghesse e il drago più anziano :-)
[Al momento, questo collegamento tra consapevolezza, draghi e robot è comprensibile solo agli shaumbra]
E poi scopro perché questo libro è illuminato ah ah
Personalmente ho sempre creduto che la parola robot fosse inglese, e invece! Ecco qua la vera natura della parola. Dalla nota introduttiva del libro:
[….] Karel Čapek, scrittore cecoslovacco, è stato il primo a parlare di robot. Egli, nel 1920, ha pubblicato un dramma intitolato R.U.R.. Tale opera è stata tradotta in inglese nel 1923. Le iniziali del titolo significano Rossum's Universal Robots.
Il protagonista, Rossum, intraprende una produzione di massa di esseri artificiali che dovrebbero svolgere il lavoro dell'umanità.
La parola robot deriva dal termine cecoslovacco robota, che significa lavoro servile. In slavo antico, rob significa schiavo. Dunque, in pratica, il robot è uno schiavo. Ma nel tradurre in inglese il dramma di Karel Čapek, si è mantenuta la parola originaria robot. Schiavo, infatti, è una parola comunemente usata per gli esseri umani. Non sarebbe servita a far capire la differenza tra la qualità artificiale dei robot universali di Rossum rispetto alla qualità naturale degli esseri umani costretti al lavoro servile. Non essendo, dunque, robot una parola inglese poteva essere lasciata in originale anche nella traduzione e designare meglio gli schiavi artificiali, in modo da non confonderli con gli schiavi umani.
Il dramma di Karel Čapek è considerato orribile dai più, ma ha conquistato l'immortalità per questa sua parola: robot.
Dal 1926 in poi, cioè da quando hanno incominciato ad apparire negli Stati Uniti le riviste di fantascienza, i robot sono stati descritti quasi sempre come costuiti in metallo. Di conseguenza, la parola robot si riferisce, in modo specifico, a un essere artificiale costruito quasi completamente, o completamente, in metallo.
E' buffo, perché Karel Čapek - in R.U.R. - aveva inventato questa parola per definire esseri umani artificiali, cioè androidi. Androide, infatti, è un essere umano artificiale costruito con sostanze il più possibile somiglianti ai tessuti umani.
Isaac Asimov è conosciuto per aver codificato – negli anni quaranta – le tre leggi della robotica.
I robot crescevano e si moltiplicavano in grande disordine nelle storie che venivano pubblicate sulle riviste popolari. E Isaac Asimov si era scocciato. A forza di disordine, i robot arrivavano, primo o poi, puntualmente a ribellarsi al loro creatore. Ad Asimov non pareva giusto né igienico. Come lettore, aveva cominciato a desiderare storie più ordinate e con finali più ottimistici. Se l'uomo creava i robot, i robot si dovevano per forza ribellare?
Si poteva trovare un modo per prevenire la ribellione? Se c'erano leggi per gli uomini perché non esserci leggi per i robot? Dato che a creare i robot erano gli uomini, sarebbe stato facile immettere nella creatura la legge opportuna. [….]
Norby è un robot stravagante. Creato con parti terrestri e risistemato con parti extra-terrestri. Ha un proprio carattere e dei sentimenti. Ha consapevolezza di sé e delle proprie capacità, anche se non sa come le usa. Non vuole avere un padrone, ma un amico. Jeff è il ragazzo che l'ha comprato e a cui è affezionato. Lo aiuta sempre, come aiuta sempre gli altri personaggi collegati a Jeff.
Ha la mini-antigravità-G e può viaggiare nell'iperspazio.
E nel primo libro, Norby spiega così l'iperspazio.
[….]L'iperspazio è il nulla. Non ha dimensioni di spazio o di tempo; là non esiste né il dove né il quando. Quando mi trovo nell'iperspazio, io percepisco.... bene, non saprei come spiegarti. E' una struttura che non è realmente, ma è potenzialmente, in quanto l'universo non è altro che questo, una struttura che, in qualche modo, è virtualmente nell'iperspazio...
Non posso spiegarlo. Tutto ciò che so è che l'iperspazio è definitivamente potenziale.... cioè è potenzialmente qualcosa, una riserva di energia da impiegar per la creazione di un universo, che in effetti fa parte di esso....
Come si crea un universo? Penso che un qualche punto dell'iperspazio di colpo acquisti un dove e un quando. Come ciò possa avvenire è oltre le mie possibilità di comprensione. Per cui, ovviamente, è oltre ogni mia possibilità di comprensione di qualsiasi persona del sistema solare. Anche se io riuscissi a spiegarti, tu non riusciresti mai a capirmi. [….]
Naturalmente Isaac Asimov è uno scienziato e, come tale, non ha preso in considerazione la creatività dell'anima e dell'uso delle energie cristalline per creare gli universi. Ma come inizio non è affatto niente male.